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foto luca belcastroLuca Belcastro

Bambini e opportunità
Le culture e l'accademia, i turisti e il direttore arrogante, le orchestre giovanili e l'uomo di conoscenza


Como (Italia)
sabato, 26 dicembre 2009



Premessa
Ebbi l'opportunità di iniziare a suonare uno strumento musicale a sette anni, su proposta dei miei genitori e in compagnia di mio fratello. Nonostante le lezioni regolari, all'inizio era quasi un gioco, ma con il tempo si trasformò gradualmente in uno studio più intenso e sistematico, che mi permise di diplomarmi nel Conservatorio di Milano e parallelamente iniziare il corso di composizione nella stessa istituzione.
Già da piccolo, quindi, iniziò il mio contatto diretto con la musica e con l'arte, manifestazioni frutto di un pensiero e di un'interpretazione originale del mondo. Nella scuola elementare di quel tempo era poco comune incontrare un bambino che suonasse uno strumento e questa fu per me un'importante occasione per rendermi conto dell'esistenza di altri aspetti della realtà, paralleli a quelli che mi presentavano, e per incontrare altri punti di vista, diversi da quelli che avevano per esempio i miei compagni.
Per questo credo sia molto importante che un bambino abbia la possibilità di frequentare teatri, sale cinematografiche, mostre, che possa avvicinarsi alla musica, cantare, studiare uno strumento già in un'età molto precoce: così inizierà a sviluppare e approfondire una visione personale del mondo, caleidoscopica, che lo accompagnerà durante il percorso della sua vita futura.
La musica, oltre ad essere un'espressione individuale, è un atto comunicativo, di interrelazione con gli altri, con chi abbia la possibilità di avvicinarla, comprenderla e condividerla. E tutto inizia dai bambini. Se non sono stati abituati ad ascoltare qualcosa di diverso da quello che presentano i mezzi di comunicazione di massa, se non hanno potuto sperimentare ed ampliare i propri orizzonti, difficilmente potranno integrarsi in un pubblico competente, capace di fruire di un concerto con proposte nuove, diverse dalla norma comune.
Nonostante un bambino europeo abbia la possibilità di avvicinarsi in tenera età alla musica e allo studio di uno strumento, si trova presto a confrontarsi con la realtà. Ossia i modelli sociali occidentali lo invitano a competere con i suoi compagni, a essere sempre "il più bravo", a eseguire sempre più rapidamente partiture ogni volta più complesse. In questa maniera si crea il rischio di distruggere il piacere di suonare. Dei molti che iniziano, pochi continuano gli studi e gli altri, delusi, la maggior parte delle volte smettono completamente di fare musica.
In Europa, alcuni di quelli che riescono a terminare il corso di studi sono mostri di tecnica, capaci di affrontare e interpretare qualsiasi partitura si proponga loro. Questa realtà influisce notevolmente anche sulle nuove composizioni che si producono. Per esempio, i compositori europei si possono permettere di scrivere senza preoccuparsi troppo della difficoltà tecnica, perché sicuramente troveranno qualcuno che potrà interpretare le loro partiture senza reali problemi.

In alcune località latinoamericane che ho visitato in questo periodo, ho notato che non esistono le stesse opportunità. Molti bambini non hanno nemmeno la possibilità di un'istruzione di base, perché o devono lavorare o, peggio ancora, andare per le strade a chiedere l'elemosina.
A livello accademico, questa mancanza di occasioni provoca che, chi voglia o riesca a iniziare lo studio di uno strumento musicale, lo faccia troppo tardi per raggiungere uno sviluppo tecnico comparabile a quello dei suoi coetanei europei. A livello professionale, inoltre, i master, le borse di studio e i corsi di specializzazione universitari pongono molte volte un limite d'età, che, per la competitività internazionale, chiude gli spazi a chi non raggiunga in tempo lo sviluppo tecnico richiesto.


Esempio emblematico
Nel 2007 viaggiai per la prima volta in Perù e, in quell'occasione, visitai la meta principale del circuito turistico di questa Nazione: Machu Picchu. Per fare ciò, bisogna innanzitutto spostarsi dalla città di Lima a Cusco, nell'altopiano andino. La maniera più veloce è viaggiare in aereo, poiché il tempo per un turista è sempre poco e la distanza tra le due città è troppo grande per percorrerla in un bus, anche a causa delle disagevoli condizioni delle strade e della differenza di altitudine di circa 4000 metri tra i due centri. Di solito si rimane alcuni giorni a Cusco, da dove si prende un treno per scendere verso la selva, fino ad arrivare ad Aguas Calientes, il paese che si trova ai piedi del monte, sulla cui cima riposano i resti di Machu Picchu, quest'incredibile città che sopravvive alla sua rovina. Da lì, con un bus locale si risalgono i tornanti, si paga un biglietto di ingresso molto caro e si inizia il percorso. Per tutti questi motivi, visitare Machu Picchu ha un costo realmente molto alto.
Quando vi arrivai, era stracolma di turisti che camminavano in fila per le stradine tra le magnifiche rovine. Il potere della promozione.
Nello stesso anno, visitai altre località del Perù che mi affascinarono, ancora escluse dai circuiti turistici ufficiali. Luoghi con un interesse archeologico e culturale di grandissimo valore, forse più della stessa Machu Picchu, e che sicuramente si imporranno nel prossimo futuro, creando altre fonti di entrate economiche per il Paese.
Di fatto, nella municipalità di Aguas Calientes, per la grande presenza di turisti stranieri, entra molto denaro grazie anche all'apparato di negozi di souvenir, ristoranti, hotel.
Che cosa succede, però? Quando si ridiscendono i tornanti del silenzioso monte, che evoca anacronistiche immagini del passato, e si ritorna alla rumorosa e caotica realtà, si incontra una grande quantità di bambini che passano intere giornate chiedendo denaro per le strade e che non hanno la minima possibilità di frequentare una scuola. Eppure in questo angolo di mondo entra molto denaro. Dove si investono tutti questi soldi? Forse non nel creare opportunità affinché questi bambini possano studiare e vivere altro genere di esperienze.

Questa situazione di mancanza di opportunità si trova anche in tutte le periferie delle grandi capitali latinoamericane dove, a differenza delle città più piccole, si perde perfino la presenza delle culture tradizionali. Non vi è la possibilità di assistere a concerti, a mostre o a proiezioni di film, se non attraverso sforzi isolati -- però potenti -- di alcuni centri culturali locali, che provano a lottare per creare spazi di partecipazione. In queste periferie i problemi reali sono altri, di sopravvivenza. E, poiché non c'è denaro, chi si preoccupa di organizzare eventi culturali nei centri delle città, dovrebbe avere una coscienza sociale che lo inviti a creare possibilità per lo sviluppo culturale delle periferie, indipendentemente dalle possibilità di guadagno. Credo che in questa realtà si abbia bisogno soprattutto della capacità di occuparsi e prendersi cura dell'infanzia.


Altro esempio
Incontro bambini in braccio ai loro genitori. Partecipano alle numerose feste tradizionali latinoamericane, nelle quali paesi interi si riuniscono per le strade e nelle piazze, suonando, danzando, condividendo. Così questi suoni, ritmi, colori, movimenti si imprimono nelle loro memorie, entrano nel mondo delle loro esperienze, rimangono in loro per tutta la vita. Non si può dimenticare né rifiutare questo imprinting, non si può impedire che si manifesti negli atti creativi né sacrificarlo sugli altari dei modelli culturali diversi e lontani, che si impongono e si presentano come "migliori".
Questi bambini, crescendo, imparano a suonare gli strumenti che incontrano nelle loro case, che sono a loro disposizione e che sostengono un'importante tradizione locale. Che cosa succede con quelli di loro che hanno l'opportunità di entrare nel sistema educativo accademico? I programmi di studio e la necessità di conformare le orchestre sinfoniche nazionali li "obbligano" a lasciare da parte le loro esperienze per integrarsi in un sistema, che molte volte presenta modelli educativi europei.
E succedono cose strane. Dopo la nomina di un europeo come direttore principale di un'orchestra sinfonica nazionale di una capitale sudamericana, ho letto in un'intervista:
"Là sono abituati a un repertorio diverso da quello europeo. Io avrò autonomia nella scelta del repertorio e allora porterò la musica che preferisco, il Classicismo e il Romanticismo europeo". Inoltre: "Per posizionarla, dopo un periodo fortemente caratterizzato dall'impegno con la musica ispanoamericana, nei binari del Classicismo e Romanticismo tedesco, che sono la carta d'identità di un'orchestra di livello internazionale".
Dal mio punto di vista, queste sono parole sinistre e sinceramente inaccettabili, sinonimo di arroganza e presunzione, che vanno contro il regolare sviluppo e il rispetto di una cultura e delle sue manifestazioni spontanee. Inoltre, si abbinano a un sistema dove molte delle attività e degli eventi culturali sono organizzati da centri stranieri, soprattutto europei.
Semplificando e generalizzando un poco, si può dire che l'accademia riceve bambini, con le loro molteplici e variegate esperienze, e li inserisce in un sistema educativo coercitivo, in diretto contatto con le orchestre nazionali e i loro programmi, che a volte sono molto distanti dalla realtà culturale della Nazione. La massificazione e la globalizzazione contro le tradizioni e le peculiarità.


Esperienze
Nonostante questo, lungo il territorio dell'America Latina si incontrano molte esperienze interessanti che si confrontano e cercano di dare risposte alternative a queste problematiche.

Quando andai per la prima volta a La Paz nel 2007, mi trovai un pomeriggio in una sala, dove alcuni bambini stavano suonando in gruppo in un clima sereno e felice. Questo incontro era parte di un sistema di educazione musicale iniziale, basato sugli strumenti nativi e sulla musica tradizionale, dove gli alunni, parte della cosiddetta "infanzia in situazione di rischio sociale", sviluppavano simultaneamente abilità tecniche, talento, capacità di pensiero musicale e attitudine cooperativa. Con questo programma di iniziazione alla musica, che dimostra la possibilità di una pedagogia musicale in armonia con la storia e l'idiosincrasia di un Paese, si raggiungono vari obiettivi. Come l'identificazione e la sistematizzazione di una didattica musicale, oltre al fatto che si promuove la produzione di strumenti musicali. Alcuni di questi bambini, crescendo, si integreranno nell'orchestra principale, seguendo la loro carriera di musicisti a livello professionale e collaborando direttamente con i compositori.
Senza entrare in questioni etiche ed estetiche riguardanti l'uso degli strumenti nativi in rapporto alle tecniche contemporanee, sono favorevole all'idea che nella concezione indigena della musica si possano trovare elementi di cambiamento e di trasformazione, rimanendo nel flusso della tradizione. Oltre a essere il prodotto della genialità e del virtuosismo dei suoi creatori, un'opera d'arte è il riflesso dello spirito di un popolo.
La visione della musica come esperienza collettiva e sociale, che s'incontra in questa iniziativa dell'Orquesta Experimental de Instrumentos Nativos già attiva dagli anni Ottanta, sembra riflettersi nella politica educativa attuale della Bolivia. Nelle strade di La Paz vi è una continua sfilata di bambini delle scuole elementari che, con allegria, suonano in gruppo, in tropa, strumenti della loro tradizione, coltivando in questa maniera la propria esperienza sonora e di riflesso quella delle loro famiglie.

L'esperienza educativa infantile latinoamericana si sviluppa anche mediante l'utilizzo degli strumenti musicali della tradizione classico-romantica europea. La differenza, rispetto al caso precedente, credo si possa individuare più nel repertorio proposto e nelle tecniche che si utilizzano, che non nelle finalità.
Ancora in Bolivia, uno dei Paesi all'avanguardia in questo campo, ne trovai un esempio. Una domenica come tante, quando durante tutto l'anno una gran folla di gente si riunisce regolarmente nel Prado di La Paz in un clima festoso, ascoltai un'orchestra sinfonica giovanile di grande livello. Era formata da bambini e giovani delle zone più povere della città, con l'intento di creare per loro un'opportunità di crescita personale, intellettuale, spirituale, sociale e professionale, e cercare di riscattarli da una gioventù considerata vuota, disorientata e deviata.
Esperienza che forse assomiglia a quella delle rinomate Orquestas Juveniles e Infantiles del Venezuela, affermate in campo internazionale per la loro eccellenza musicale. Fondate da un "visionario" musicista nel 1975, consacrate al riscatto pedagogico, occupazionale ed etico dell'infanzia e della gioventù, mediante l'istruzione e la pratica collettiva della musica, e dedicate alla qualifica, alla prevenzione e al recupero dei gruppi più vulnerabili del Paese, tanto per età quanto per situazione socioeconomica.
è un modello comprovato di come un programma di educazione musicale possa creare grandi musicisti e allo stesso tempo cambiare la vita a migliaia di bambini poveri di una Nazione. Il suo approccio enfatizza un'intensa pratica di gruppo fin dalla più tenera età, oltre all'impegno nel mantenere sempre presente l'allegria e il divertimento, che derivano dall'apprendimento e dalla creazione della musica. In contrasto con l'istruzione musicale che si impartisce in molti altri luoghi del mondo. Perciò, organismi e organizzazioni internazionali riconoscono quest'esperienza come degna di essere attivata in altri Paesi, principalmente in quelli che cercano di diminuire i livelli di povertà, di analfabetismo, di emarginazione e di esclusione tra la popolazione infantile e giovanile. In molte Nazioni si stanno creando programmi di educazione musicale, che seguono il modello venezuelano.

Posso solo raccontare quello che ho conosciuto e incrociato nel mio cammino, ma esistono molte altre esperienze simili, che meriterebbero di essere presentate e appoggiate in misura sempre maggiore. Tra queste, anche iniziative di musicisti che pagarono con la vita i loro sogni, i loro sforzi e i loro successi nello sviluppo di opere solide, nate dal nulla, nell'assenza totale di risorse. Opere che irruppero nella società, appianando differenze sociali, politiche e di credo, e che per questo, tristemente, in molti casi furono smantellate da altri con violenza.

In Europa, i nuovi metodi di avvicinamento alla musica si basano generalmente su altri aspetti e approcci. Forse la differenza principale è che in molte delle esperienze latinoamericane vengono coinvolti coloro che provengono da situazioni a rischio sociale e partecipano a un'iniziativa culturale frutto della necessità, che ingenera in essi grande valore. Nelle realtà europee, i coinvolti sono bambini di famiglie con buone possibilità economiche, ai quali molte volte si impone il modello del successo e il mito della star, trasformando le iniziative in operazioni commerciali.
La possibilità di produrre cultura - che a differenza dei temi economici è quello che rimane di una civiltà e di un periodo storico - dipende, quindi, da come le istituzioni e i politici si relazionano con l'ambiente, con l'educazione e con la creazione di opportunità per l'infanzia.


Un'altra prospettiva
Probabilmente quella che ho presentato ora è una visione occidentale della realtà, frutto della mia educazione e dei modelli sociali con i quali ho convissuto.
In alcune pagine di Una realtà separata di Carlos Castaneda (nel capitolo I preliminari del vedere), l'autore racconta di quando si trovava ad analizzare la maniera di comportarsi di un gruppo di bambini lustrascarpe seduti sul marciapiede, che si offrivano per pulire le calzature di alcuni ospiti di un ristorante, senza insistere in caso di rifiuto. Guardava il loro correre ai tavolini appena lasciati vuoti dagli avventori, per mangiare gli avanzi, la loro maniera sistematica di procedere senza sprecare nulla. Raccontava che, dopo averli visti lanciarsi come avvoltoi sugli avanzi più miseri, si sentì veramente scoraggiato, con la sensazione che non ci fosse speranza per loro, il cui mondo era già stato plasmato dalla battaglia quotidiana per le briciole.
Aveva pena per loro e, preoccupandosi del benessere dei suoi simili, vedeva il mondo di questi bambini brutto e misero. Credeva di stare meglio di loro, perché, al confronto, il suo mondo era infinitamente più vario e più ricco d'esperienze e di occasioni di soddisfazione personale e di sviluppo. Nonostante il suo interlocutore, lo stregone yaqui don Juan Matus, lo contraddicesse, dicendogli che non sapeva quello che affermava e che non aveva modo di sapere nulla della ricchezza e delle opportunità del mondo di quei ragazzi, all'autore sembrava sinceramente che non avessero la minima opportunità di alcuno sviluppo intellettuale.
Raggiunto l'accordo tra i due protagonisti che il convertirsi in uomo di conoscenza sia una delle massime conquiste e un trionfo intellettuale, per bocca di don Juan si propongono alcune domande che cambiano la prospettiva. Le visioni e i punti di vista altrui invitano a riflettere, e per questo bisognerebbe sempre essere desti, aperti e curiosi per accoglierli.

- Pensi che questo tuo ricco mondo, [...] la tua libertà e le tue opportunità possano aiutarti a diventare un uomo di conoscenza?
- No! - risposi con forza.
- Allora come puoi sentire pena per quei ragazzini? - chiese in tono serio -. Chiunque di loro può diventare un uomo di conoscenza. Tutti gli uomini di conoscenza che ho incontrato erano bambini come quelli che tu hai visto mangiare avanzi e leccare tavolini.
L'argomento di don Juan mi diede una sensazione di disagio. Avevo avuto pena di quei bambini sottoprivilegiati non perché non avessero abbastanza da mangiare, ma perché nei miei termini il loro mondo li aveva già condannati a essere intellettualmente inadeguati. E tuttavia nei termini di don Juan chiunque di loro poteva raggiungere quella che ritenevo l'epitome della conquista umana, la meta del diventare un uomo di conoscenza. Il mio motivo per compatirli non aveva senso. Don Juan mi aveva messo con le spalle al muro.
- Forse avete ragione - dissi -. Ma come si può evitare il desiderio, il genuino desiderio di aiutare i nostri simili?
- Come pensi che si possano aiutare?
- Alleviando il loro fardello. La cosa più piccola che si possa fare per i nostri simili è cercare di cambiarli. Anche voi lo fate, non è vero?
- No, io no. Io non so che cosa cambiare e perché cambiare alcunché nei miei simili.
- Ed io allora, don Juan? Non mi avete forse dato un insegnamento perché potessi cambiare?
- No, io non cerco di cambiarti. Può accadere che un giorno tu possa diventare un uomo di conoscenza, non c'è modo di saperlo, ma quello non ti cambierà. Un giorno forse potrai vedere gli uomini in un altro modo e allora ti renderai conto che non si può cambiare nulla in essi.



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